
Publio Virgilio Marone, nel suo poema epico intitolato “Eneide“, sceglie come protagonista Enea, un vinto e non un vincitore. Nella protasi del proemio, Virgilio lo presenta come un vinto, un uomo che da Troia se ne è andato sconfitto, vedovo e che risulta infine un profugo.
Il personaggio di Enea è molto diverso da quelli di Achille ed Odisseo: non ama andare in guerra, nè viaggiare, nè essere un leader e comandare un esercito. Non è un eroe dell’azione. Eppure nell’invocazione alla Musa Calliope, Virgilio mette in risalto la sua pietas, termine traducibile come la devozione pagana alla famiglia, alla patria e agli dèi:

Musa, ricordami tu le ragioni di tanto doloroso penare: ricordami l’offesa e il rancore per cui la regina del cielo costrinse un uomo famoso per la propria pietà a soffrire così, ad affrontare tali fatiche.
Virgilio a Calliope (Eneide, libro I, v.10-14)

Inoltre, Virgilio si pone una domanda esistenziale, che non riguardo solo Enea, ma anche lui:
Di tanta ira sono capaci i Celesti?
Virgilio a Calliope
Ma allora perché Virgilio sceglie un uomo che ha perso tutto, che non ha più niente tra le mani e che si trova a navigare disperso nel mare?
Soluzione: obbedisce al Fato, e questo non lo identifica come un soggetto debole o rassegnato, costretto per forza divina a svolgere un compito, ma come un tenace.

Senz’altro l’obiettivo di Virgilio è diversificare il suo poema dagli episodi omerici, e nell’obiettivo di Virgilio si presenta dunque una realtà nuova, diversa e variopinta.
In questo tentativo di diversificazione, Virgilio coglie l’occasione per introdurre anche la sua figura personale: anch’esso, come Enea, infatti, nella sua vita è stato profugo e contrario all’azione (soprattutto quella di tipo bellico).
Ma la sua (quella di Viriglio) è una strategia per trasmettere valori di tenacia al popolo romano, valori che Enea ha appreso grazie alla sua pietas e alla sua sofferenza, valori che lo rendono un eroe paziente, forte, resistente e soprattutto un esempio di resilienza.
E’ anche l’azione del climax concettuale crescente che presenta nella protasi, partendo dal descrivere un vinto le cui aspettative e imprese lo porteranno a fondare una nuova e importantissima città.

E’ dunque quello di Viriglio, un progetto per imparare da un vinto la strada per la vittoria e per il successo, fondamentale per un pubblico di lettori come i Romani dell’età neo-imperiale alla ricerca di fonti per il sostentamento e l’aiuto personale, ma non esclusivamente, per chi nutre il desiderio di ricominciare dalle proprie sconfitte.




Commento al racconto “I giorni perduti” di Dino Buzzati
By Luca Costa
On Ottobre 22, 2025
In Letteratura Classica
Una sera Ernst Kazirra si imbatte in uno sconosciuto che scarica bauli di sua proprietà in un fossato. In cerca di informazioni, Kazirra scopre i suoi giorni perduti, ne esamina tre e supplica lo sconosciuto di ripararli anche a costo di pagarli caramente, ma quest’ultimo scompare con i bauli al calar del sole.
Il tempo perso non è recuperabile. E’ frequente, specie nella società attuale, essere sopraffatti dalle ambizioni e dimenticarsi delle persone amate di cui ci si circonda. L’espressione “Lo sconosciuto scaricò la cassa e, fatti pochi passi, la scaraventò nel botro, che era già ingombro di migliaia e migliaia di altre cose uguali” suggerisce che l’azione non accade per la prima volta e rappresenta il modo per mezzo del quale, rendendosi conto degli errori commessi, è possibile quantificarne la frequenza. Riconoscere i propri errori significa anzitutto riconoscere i propri limiti, non come occasione per non impegnarsi in qualcosa, ma come necessità di essere aiutati; questo permette di riconoscere ed essere grati ai propri cari, a coloro in grado di amare veramente.
In secondo luogo permette di distinguere le ambizioni personali dalla devozione ad una specifica attività, creando un taglio netto tra le due realtà.
Buzzati propone un insegnamento convincente: se come si è detto, è impossibile recuperare il tempo perduto fisicamente, è sempre possibile riscoprire la preziosità di ciò cui un tempo si era meno riconoscenti, per proseguire nel futuro adottando una diversa modalità di percezione della realtà.
di
Luca Costa